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SPECIALI REGIONI, PIEMONTE - 4 ottobre 2012

La prima a fiutare la presenza del tartufo sotto un rovere centenario è Zara, sette anni una femmina di Bracco. Dopo pochi secondi la segue Mirka, un Lagotto di due anni, è l’apprendista e sta imparando i segreti della “cerca”. Il prossimo anno sarà pronta per procedere da sola. Assieme scodinzolano e iniziano a scavare. In comune i due animali hanno il prodigioso olfatto, di molto superiore alla media degli altri quattro zampe. Ma a guidarle con precisi comandi in dialetto piemontese è Michele, 51 anni. Il capo branco, l’amico-padrone che vive in stretta simbiosi con loro. Ne conosce ogni movimento, il modo di correre e fermarsi con il naso appiccicato al terreno. E’ lui che decide se scavare la terra e lasciare che i cani mangino i pezzi più piccoli. Ed è sempre lui che dà ai cani la meritata ricompensa: qualche crostino accompagnato da molte carezze.

Michele, come da tradizione ha imparato dai “vecchi” delle Langhe. A 11 anni seguiva lo zio Valerio nei boschi, per imparare la difficile arte del “trifolao”. Perché non ci sono scuole né libri che insegnano, ci vuole passione ed esperienza. «Ricordo quando la notte mi svegliava per seguirlo nei boschi con la pila, ancora addormentato. Con lui ho imparato a decifrare le mille sfumature del terreno e dell’aria, l’odore di foglie e muschio». Benvenuti ad Alba, patria del pregiato tartufo bianco. Il lavoro del trifolao è impegnativo. Si esce con i cani di giorno e di notte. Vuoi per le migliori condizioni di raccolta, vuoi per non farsi vede dagli altri cercatori. Ognuno è geloso del territorio in cui si muove, lo conosce palmo a palmo, sa quali sono gli alberi buoni dove scavare.

Tra Langhe, Roero e Sud Piemonte, i trifolao certificati con il patentino sono 4 mila. Ma nei boschi tra ottobre e gennaio, durante la stagione della raccolta, ne circolano almeno il doppio. Ci sono i dilettanti “fai da te” del fine settimana che mettono a scompiglio il bosco, ma anche tanti cercatori non in regola. «Concorrenti spesso sleali che arrivano a seminare bocconi avvelenati – dice ancora Michele - per mettere fuori gioco i tuoi cani». Invece i trifolao professionisti si conoscono tra loro e seguono precisi codici di comportamento. Primo il rispetto del bosco perché dopo la cerca il terreno va lasciato in ordine, le buche coperte. Facendo in modo che le spore sotto terra riproducano altri tartufi secondo il ciclo biologico.

Perché i “diamanti” di Alba e dintorni sono una risorsa del territorio che porta benefici non solo ai cercatori. Spiega Antonio Degiacomi, presidente dell’Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba. «Lo scorso anno l’indotto legato al tartufo ha generato un giro d’affari complessivo attorno a 400 milioni di euro». Langhe e Roero hanno visto convergere 500 mila visitatori. E quest’anno si replica con l’apertura della Fiera il prossimo 6 ottobre (fino al 18 novembre). Tante le manifestazioni previste, tra cultura e gastronomia. Da un viaggio tra i grandi del cinema che hanno portato i tartufi in scena, alla “maratona fenogliana” una rassegna di letture e conversazioni dedicata al grande scrittore Beppe Fenoglio, albese doc.

Ci saranno anche i Foddies Moments un escursus culinario nella cucina piemontese guidati da chef stellati. E ancora Americans, una mostra collettiva con i lavori di cinque artisti americani, tra i massimi esponenti di arte contemporanea. Il momento clou arriverà la seconda domenica di novembre al castello di Grinzane Cavour, con la XIV asta mondiale del tartufo bianco. Quest’anno a contendersi i migliori pezzi sarà una platea di gourmet, collegati via satellite da Hong Kong.

Artefice riconosciuto di questo successo è Giacomo Morra (1889-1963), il “re del tartufo bianco”. Fu lui nel dopoguerra ad avere un’idea di makteting, geniale per quei tempi: «regalare il migliore della stagione a personaggi illustri». A esserne omaggiata per prima nel 1949 fu l’attrice americana Rita Hayworth, seguita da Marilyn Monroe. Un esemplare di oltre due chili venne regalato al presidente Truman, toccò poi a Churchill e Hitckoch. Notizie che fecero il giro del mondo, e così Morra divenne l’ambasciatore del “tuber magnatum pico”. Ma fu anche un grande ristoratore, i vecchi di Alba ricordano ancora quando all’Hotel Savona, durante la Fiera, riusciva a dare da mangiare tartufi a 2 mila persone.

E proprio dal felice connubio con la tradizione culinaria piemontese nasce la sua fortuna. «Primi piatti come i plin e tagliolini al tartufo, piuttosto che la battuta al coltello di carne Fassona – spiega Roberta Ceretto, figlia di Bruno un altro famoso ambasciatore di queste terre nel mondo – non possono che accompagnarsi con un bicchiere di Dolcetto, Nebbiolo o Barolo». Vini blasonati che esaltano profumi e sapori del tartufo. Già famoso al tempo dei Romani come alimento afrodisiaco, tanto da fare esclamare al poeta Giovenale: «è preferibile manchi il grano, piuttosto che tartufi».

IL TARTUFO DISIDRATATO: DURA UN ANNO SENZA PERDERE PROFUMO E PROPRIETÀ ORGANOLETTICHE. LO HA INVENTATO TARTUFLANGHE
Il tempo. E’ questo il nemico numero uno del tartufo bianco. Perché dal momento in cui cani e trifolao lo trovano, a quando viene portato in tavola, possono passare circa una decina di giorni. Avendo comunque l’avvertenza di pulirlo e conservarlo in frigorifero avvolto in un canovaccio di tela. Che cosa fare allora per poterne gustare il profumo, mantenendo la consistenza e le proprietà organolettiche per lunghi periodi? Beppe Montanaro classe 1939, fondatore di TartufLanghe nota azienda del settore di Piobesi d’Alba, ha lavorato sodo negli ultimi anni per trovare la soluzione. E alla fine con l’aiuto dei figli Paolo e Stefania, ha risolto il problema.

Nasce così il “tartufo disidratato NoH2o”, una lavorazione naturale che consente di mantenere il prezioso alimento a temperatura ambiente per 12 mesi. Garantendone profumo e proprietà organolettiche. Una novità che apre nuovi mercati internazionali e prospettive per il consumo anche nei periodi in cui non si raccoglie. Interessante il fatto che la tecnologia utilizzata non prevede alcuna manipolazione chimica, né l’uso di additivi. «Si tratta esclusivamente di un processo fisico - spiega Beppe – basato sul principio di essicazione a basse temperature in ambiente sottovuoto».

Con questo trattamento il tartufo, ridotto in sottilissime scaglie viene privato dell’acqua, la principale responsabile del deterioramento. Il risultato sono una serie di sottilissime foglie conservate in vasetti sterili, garantiti un anno. Al momento di consumarle basta stenderle sul piatto caldo e nel giro di un paio di minuti si libera il caratteristico bouquet aromatico. Non solo. Il prodotto assume consistenza e colore dei tartufi freschi appena grattugiati.

Quella di Beppe è stata una vita intensa e avventurosa. Inizia a 14 anni alla scuola del grande Giacomo Morra che lo assume al ristorante Savona di Alba come cameriere prima e subito dopo come aiuto cuoco. Lì impara come si lavorano i chili di tartufi che i trifolao portano direttamente in cucina. Non ancora ventenne si imbarca a Savona sulle grandi navi da crociera. «Ero un ragazzo magro e alla selezione mi dissero che avrei resistito poco alla dura vita di bordo». Ma non è così. E per una decina d’anni gira il mondo, diventa chef: Nord e Sud America, Canada, isole caraibiche, Est Asiatico. Gli propongono di gestire ristoranti a New York e Vancouver. Ma nel ’66 il richiamo delle Langhe è troppo forte e rientra ad Alba, si sposa con Domenica e apre il suo primo ristorante.

Nel 1980 fonda TartufLanghe e inizia a studiare prodotti innovativi cha facciano conosce il tartufo nel mondo. Adesso il vulcanico Beppe ha in serbo un’altra novità. Si chiama “paillettes”, ha la forma di un lingottino e contiene il 60% di tartufo fresco mescolato con burro cacao. Si conserva fuori frigorifero per 12 mesi, e una volta in tavola si grattugia sui cibi. Sarà in vendita da questo mese, gli chef che lo hanno già provato ne sono entusiasti.

twitter @utorelli






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